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Covers e traduzioni

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Vedi anche: Le traduzioni “adulterate” 
/ I complessi Beat  / Gli stranieri in Italia / Beat e canzoni di protesta / Bandiera gialla / Il Piper Club / Sanremo e il Beat / Testimonianze dal mondo Beat

Sin dagli anni del dopoguerra il mondo della musica popolare è dominato dalla musica anglosassone, forse solo questi ultimi anni hanno visto un parziale ampliamento d'orizzonte, con la crescita notevole della musica latina. Di conseguenza dal mondo anglosassone sono venuti i grandi successi da classifica e i modelli da copiare, e lì sono andati ad ispirarsi gli autori e i cantanti delle altre parti del mondo, Italia compresa, naturalmente.
E' così che, soprattutto negli anni '60 e nei primi '70, centinaia di canzoni anglosassoni sono diventate italiane, e complessi e cantanti italiani hanno raggiunto il loro successo o arricchito il loro canzoniere grazie alle
cover.

Il contesto era molto diverso da oggi, l'Italia era uno dei principali mercati mondiali del disco, i 45 giri di successo raggiungevano il milione di copie ed oltre (un "disco d'oro" era arrivato sino a che i singoli avevano ancora un mercato, a 50 mila copie vendute, un disco di grande successo dell'epoca, come per esempio "La bambola" di Patty Pravo, vendeva 9 milioni di copie). Gli italiani poi sapevano l'inglese anche meno di oggi, e quindi apprezzavano molto di più le canzoni, se cantate in italiano. Gli stessi cantanti stranieri (inclusi pesi massimi come i Rolling Stones o Stevie Wonder) erano spinti dai loro discografici a cantare versioni in italiano dei loro successi.

La versione italiana poteva riguardare un pezzo che era già un successo internazionale (come I’m a Believer dei Monkees o Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum), e quindi un successo garantito anche in Italia, e in questo caso poteva esservi anche una specie di gara a chi la traduceva prima (come Bang Bang, tradotta contemporaneamente sia dall'Equipe 84, sia dai Corvi, sia da Dalida, sia da altri minori) oppure canzoni del tutto sconosciute da noi, o magari di autori mai diventati veramente famosi in Italia presso il grande pubblico, come i Kinks dei fratelli Davies, a cui hanno attinto non pochi gruppi e cantanti italiani. 

Non sempre i traduttori italiani riportavano in italiano il senso del testo originale, anzi quasi mai; ne inventavano uno completamente diverso, o lo stravolgevano ampiamente, lasciando solo alcuni elementi del brano originale. Perché la traduzione era difficile, per le differenze nella metrica tra le due lingue o perché il testo originale era metaforico o allusivo di situazioni da noi sconosciute, oppure per semplice noncuranza, perché i produttori erano interessati solo al tappeto musicale, che veniva preso ed utilizzato per mandare un "messaggio" del tutto diverso. Ma anche per vera e propria censura relativamente a canzoni che parlavano di vicende considerate inadatte al pubblico italiano, come il celebre caso della Casa del sole. In una apposita sezione sono riportati numerosi esempi di queste traduzioni "adulterate" ed in un'altra dei veri e propri "crimini musicali".

Naturalmente è esistita in parallelo una tradizione di musica non commerciale che ha costituito la ispirazione per la nuova canzone italiana, a partire da Brassens o Cohen tradotti da Fabrizio De Andrè e Nanni Svampa o Bob Dylan tradotto da Francesco De Gregori, ma questa è un'altra storia.

 

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